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QUELLA “E” CHE FA LA DIFFERENZA
C’era una volta un bambino che a sette anni leggeva l’Unità, che alle elementari non giocava a pallone durante la ricreazione, che amava stare al centro dell’attenzione ma quando aveva bisogno di isolarsi aveva la capacità di svanire e volatilizzarsi.
- Crebbe con il naso perennemente verso il cielo. Già alle medie aveva elaborato una prima bislacca teoria su come il tempo fosse articolato in “cuspidi” formate da una parabola ascendente, un punto culminante e una parabola discendente.
Lo Spazio lo affascinava moltissimo ma il Tempo batteva qualsiasi altra forma di Mistero. Aveva la sensazione che qualcosa sfuggisse a qualsiasi tentativo di comprendere il concetto di tempo, soprattutto perché gli uomini per loro uso e consumo lo avevano trasformato da circolare in lineare, condannandosi così per sempre a non capirci più nulla. Non che lui pensasse di capirci alcunché ma semplicemente pensava che la strada fosse quella sbagliata.
Crebbe, continuando di quando in quando a buttare un occhio al cielo, che non si sa mai. Anni dopo incontrò l’astrologia, e come tutti i più importanti incontri avvenne in modo casuale. Va detto ad onor del vero che una certa curiosità empirica verso i segni zodiacali l’aveva sempre avuta, insieme ad un incrollabile orgoglio per il proprio segno: l’Acquario. Gli sembrava che esprimesse con una inequivocabile nitidezza la sua tendenza a volare via con la fantasia, la sua curiosità da pioniere e la sua capacità di scomparire diventando invisibile. L’incontro con lo studio avvenne a causa di una cena con una decana della materia, la grande Luisa De Giuli del TG5. Si ritrovarono seduti l’uno accanto all’altro ad una cena, e dopo lungo colloquiare la De Giuli disse: “Mi sembri molto portato, vorrei organizzare un corso dopo l’estate. Semmai ti coinvolgerò”.